Ascensore condiviso tra due condomìni separati: cosa succede se l’accordo non è mai stato registrato?
Il nostro edificio, composto da 8 appartamenti distribuiti su 4 piani, condivide da oltre vent’anni un ascensore con il condominio adiacente, costruito nello stesso periodo dal medesimo costruttore. L’impianto si trova fisicamente in una torre centrale tra i due edifici e serve entrambi, con accessi separati ma collegati al medesimo vano.
La particolarità è che, secondo quanto ci ha detto l’amministratore, non esiste un accordo formale registrato tra i due condomìni: la gestione è sempre avvenuta “di fatto”, con suddivisione delle spese al 50%, basata solo su un verbale d’intesa mai trascritto né riportato negli atti notarili dei singoli appartamenti.
Ora però il condominio B ha cambiato amministratore e ha iniziato a mettere in discussione la ripartizione delle spese, sostenendo che l’ascensore è “in maggioranza utilizzato” dai nostri condomini, e chiedendo una revisione dell’accordo, o addirittura la possibilità di recedere.
Il nostro amministratore sostiene che, dopo vent’anni di uso continuo e condiviso, esiste almeno una servitù di fatto o un obbligo implicito di mantenimento comune, ma non è chiaro se possiamo davvero far valere questo utilizzo pregresso in assenza di un atto scritto.
Quello che ci chiediamo è:
- Qualcuno ha mai affrontato una situazione simile con ascensori condominiali condivisi tra proprietà indipendenti?
- In caso di ascensore condiviso tra due edifici distinti, è possibile che uno dei due condomìni si tiri indietro unilateralmente?
- Se non esiste un contratto formale o una servitù registrata, possiamo tutelarci legalmente per garantire l’uso continuativo dell’impianto e la ripartizione equa delle spese?
- Chi risponde in caso di incidente o guasto, se la proprietà e la gestione dell’impianto non sono regolate in modo chiaro?
- Conviene formalizzare tutto adesso con un atto notarile, o è troppo tardi dopo tanti anni di gestione “di fatto”?
Spiegazione del caso
La tua situazione è molto più comune di quanto sembri, soprattutto negli edifici costruiti tra gli anni ’80 e 2000, dove spesso i costruttori, per ottimizzare spazi e costi, installavano ascensori condivisi tra due condomìni adiacenti, collegando i vani scala di entrambi a un unico impianto.
Tuttavia, ciò che all’epoca veniva gestito “di fatto”, oggi rappresenta un problema legale e amministrativo rilevante, perché un ascensore che serve due edifici autonomi deve avere una titolarità giuridica e gestionale chiara, altrimenti sorgono conflitti come quello che descrivi.
Dal punto di vista legale, il principio di fondo è che un bene comune tra due condomìni distinti (quindi due entità giuridicamente separate) può esistere solo in due forme:
- Come bene in comunione ordinaria ai sensi degli articoli 1100 e seguenti del Codice Civile
- Ccome servitù reciproca di uso
In entrambi i casi serve un titolo costitutivo valido, cioè un atto scritto, solitamente notarile, che definisca la proprietà, i diritti di utilizzo e la ripartizione delle spese.
Cosa dice la Legge
La mancanza di un contratto formale o di una servitù trascritta nei registri immobiliari significa che l’impianto non ha una titolarità giuridica chiara. Tuttavia, ciò non implica automaticamente che uno dei due condomìni possa “tirarsi indietro”.
Esiste infatti la figura del comune utilizzo di fatto, che, se protratto nel tempo in modo continuativo e con partecipazione economica documentata, può dare origine a una comunione di fatto o a una servitù per destinazione del padre di famiglia o per usucapione ventennale.
La servitù per usucapione, disciplinata dagli articoli 1061 e 1158 c.c., può essere invocata quando un uso durevole e pubblico di una parte comune (in questo caso, l’ascensore e il vano tecnico) si è protratto per oltre vent’anni senza contestazioni, a condizione che vi siano prove concrete dell’utilizzo continuativo e del contributo alle spese.
Sentenze Cassazione
Nel vostro caso, la documentazione amministrativa:
- Verbali assembleari
- Fatture di manutenzione
- Ricevute di pagamento
- Delibere congiunte
Può essere utilizzata come prova per dimostrare che l’ascensore è stato gestito in comunione stabile e volontaria tra i due edifici. In tal caso, sarebbe difficile per il condominio B sostenere il diritto unilaterale di recedere, perché la giurisprudenza (Cass. civ. n. 15502/2018; n. 6714/2020) considera l’uso comune consolidato come vincolante fino a quando non viene formalmente modificato da entrambe le parti.
In concreto, il condominio B non può disconoscere o interrompere l’uso dell’impianto senza una delibera unanime dei propri condomini e, soprattutto, senza l’accordo del vostro condominio, poiché la modifica inciderebbe sulla sicurezza e sull’utilità di un bene condiviso.
Se lo facesse, si configurerebbe un illecito civile per violazione dell’uso comune o della servitù acquisita, e voi potreste chiedere tutela giudiziaria con un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., per impedire l’interruzione del servizio.
I giudici, in casi analoghi, hanno quasi sempre riconosciuto il diritto di chi dimostra un uso pacifico e documentato dell’ascensore per oltre vent’anni, impedendo al condominio “ribelle” di sottrarsi alle spese (vedi Cass. civ. n. 13872/2019; n. 20745/2021).
Il punto più critico, però, riguarda la responsabilità tecnica e assicurativa. Un impianto che serve due condomìni distinti deve essere gestito:
- Come bene in comproprietà formale
- Con un amministratore comune limitatamente all’impianto
- Un conto dedicato
- Una polizza assicurativa unica che copra l’intero sistema, indicando entrambi i condomìni come co-proprietari.
Se la proprietà non è formalizzata, il rischio è che, in caso di incidente o guasto grave, l’assicurazione possa rifiutare il risarcimento sostenendo che il soggetto assicurato non era l’effettivo titolare dell’impianto. Allo stesso modo, eventuali danni a terzi potrebbero ricadere solidarmente su tutti i proprietari degli edifici serviti, con responsabilità civili e penali condivise.
Come agire
Per evitare tali rischi, la soluzione più prudente è procedere a una regolarizzazione formale dell’impianto, anche dopo vent’anni. Non è affatto “troppo tardi”: il Codice Civile e la giurisprudenza ammettono la formalizzazione retroattiva delle comunioni di fatto, purché ci sia consenso tra le parti. Si può quindi redigere un atto notarile di costituzione di comunione e regolamento d’uso dell’ascensore, che definisca:
- Proprietà indivisa dell’impianto (ad esempio 50% ciascuno, salvo diverso accordo)
- Quote di spesa e i criteri di ripartizione (possibilmente basati su millesimi o numero di utenze servite)
- Designazione di un amministratore congiunto o di un comitato tecnico per la gestione
- Copertura assicurativa e la manutenzione obbligatoria
- Modalità di recesso o modifica futura dell’accordo
Questo atto, se trascritto nei registri immobiliari, mette fine a ogni ambiguità e tutela entrambe le parti.
Nel frattempo, se il condominio B insiste nel disconoscere l’accordo e si rifiuta di pagare la sua quota, il vostro condominio può agire in via giudiziale per accertare l’esistenza di una comunione di fatto o di una servitù d’uso.
Cosa ricordare
Dopo vent’anni di gestione comune, il condominio B non può recedere unilateralmente, perché
- L’uso costante e la partecipazione alle spese configurano una comunione consolidata di fatto
Tuttavia, per evitare rischi legali e assicurativi, è fortemente consigliabile formalizzare la situazione con un atto notarile, anche retroattivo, che definisca:
- Proprietà
- Quote
- Responsabilità
È un investimento che mette al sicuro entrambi i condomìni e garantisce la continuità dell’impianto in conformità alla legge e alle norme tecniche vigenti.
