Ascensore bloccato dalla Soprintendenza per impatto visivo: possiamo fare ricorso?
Il nostro condominio si trova in un centro storico soggetto a vincolo paesaggistico e ambientale, e da tempo stiamo cercando di installare un ascensore esterno in acciaio e vetro per servire i 4 piani dello stabile.
L’edificio, costruito negli anni ’40, non ha alcuno spazio interno per realizzare un vano corsa, e abbiamo quindi optato per una torre vetrata esterna, da collocare in un cortile sul retro, non visibile dalla strada principale.
Il Comune aveva già approvato il progetto tramite SCIA alternativa al permesso di costruire, ma dopo la trasmissione alla Soprintendenza per la verifica paesaggistica, è arrivata una prescrizione di blocco dell’intervento, con la motivazione che la struttura in vetro e metallo “altera la percezione visiva dell’ambiente tutelato” e “contrasta con l’impianto storico dell’edificio e del contesto urbano”.
A nulla è valso il fatto che l’ascensore sarebbe stato utile per eliminare le barriere architettoniche e migliorare la fruibilità per due condomini con disabilità certificate.
Ora ci chiediamo se la tutela paesaggistica può effettivamente impedire un’opera funzionale come un ascensore, anche se non visibile dalla strada pubblica, e se esiste una gerarchia normativa tra l’interesse collettivo all’accessibilità e la tutela estetica.
- Possiamo fare ricorso contro il diniego della Soprintendenza?
- Quanto tempo può richiedere la procedura?
- Quali possibilità reali abbiamo di ottenere un parere favorevole?
- E’ possibile ottenre l’approvazione per un ascensore esterno in area vincolata, magari presentando una relazione paesaggistica più articolata o proponendo una struttura reversibile?
Spiegazione del caso
La situazione che descrivi è un caso molto tipico di conflitto tra esigenze di accessibilità e vincoli paesaggistici, e purtroppo rappresenta una delle circostanze più complesse da gestire dal punto di vista tecnico e giuridico.
In Italia, la realizzazione di un ascensore esterno in aree sottoposte a tutela paesaggistica o ambientale richiede una doppia compatibilità:
- Da un lato con la normativa edilizia e urbanistica (art. 10 e seguenti del DPR 380/2001)
- Dall’altro con le norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004), che attribuiscono alla Soprintendenza il potere di veto su qualsiasi opera che possa alterare l’aspetto di immobili o contesti vincolati
Il fatto che il progetto sia stato approvato dal Comune tramite SCIA alternativa al permesso di costruire è già un punto a favore: significa che l’opera è urbanisticamente compatibile e che rispetta i parametri edilizi e strutturali.
Tuttavia, la Soprintendenza ha competenza autonoma e prevalente in materia paesaggistica, e il suo parere negativo ha effetto vincolante. Ciò significa che, anche se l’intervento rispetta le norme edilizie, non può essere realizzato se il parere paesaggistico è contrario.
La ratio è che la tutela del paesaggio, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione e dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004, è considerata un valore primario e assoluto, e può prevalere anche su interessi privati o collettivi di altra natura, inclusi quelli legati all’accessibilità, salvo casi eccezionali.
Cosa dice la legge
Questo, però, non significa che la Soprintendenza possa bloccare arbitrariamente qualsiasi opera: il suo diniego deve essere motivatamente proporzionato e fondato su una valutazione concreta dell’impatto visivo e ambientale.
Quando la motivazione è generica o non proporzionata rispetto all’obiettivo di eliminare barriere architettoniche, il provvedimento può essere impugnato con buone possibilità di successo.
Infatti, la legge italiana riconosce la tutela dell’accessibilità come principio di interesse pubblico. L’articolo 24 del D.P.R. 503/1996 e la Legge 13/1989 (ancora pienamente vigente) impongono che anche gli edifici vincolati possano essere autorizzati in deroga ai regolamenti edilizi, purché siano reversibili.
Come agire
Questa condizione della “reversibilità” è cruciale per avere un giudizio positivo dalla Soprintendenza, che non dovrebbe opporsi in modo assoluto.
Pertanto, il vostro margine di azione esiste, ma va gestito con grande precisione procedurale. Avete tre strade principali:
- Presentare un ricorso amministrativo gerarchico al Ministero della Cultura entro 30 giorni dal ricevimento del diniego, ai sensi dell’art. 146, comma 10, del D.Lgs. 42/2004 correlata con una relazione paesaggistica integrativa redatta da un architetto specializzato
- Impugnare il provvedimento davanti al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) entro 60 giorni, contestando la carenza di motivazione, sproporzione o mancata considerazione delle esigenze di accessibilità
- Rivedere il progetto e ripresentarlo con modifiche mirate alla mitigazione visiva. In molti casi, le Soprintendenze hanno accettato ascensori parzialmente incassati, camuffati da elementi architettonici preesistenti, oppure strutture in acciaio verniciato color mattone.
Va ricordato che la tutela paesaggistica non è mai assoluta, soprattutto quando l’opera è destinata all’eliminazione di barriere architettoniche.
La Soprintendenza ha l’obbligo di motivare in modo particolarmente stringente le ragioni del diniego, perché si tratta di un interesse pubblico protetto anche da norme europee (Direttiva UE 2019/882 sull’accessibilità).
Cosa ricordare
- Il ricorso o la revisione progettuale potrebbero richiedere da 3 a 12 mesi, a seconda del percorso scelto e della collaborazione degli enti coinvolti.
- Impostare una relazione tecnico-legale che dimostri in modo chiaro che l’opera è reversibile
- La Soprintendenza può legittimamente bloccare l’installazione di un ascensore esterno in area vincolata, ma non può farlo in modo arbitrario
- L’interesse alla rimozione delle barriere architettoniche è riconosciuto come di rango pubblico
